Scrive padre Damiano Tuseo nella sua “Storia di Ginosa” [1] < A Ginosa la chiesa più antica, che è una grotta sita all’estremo limite del vecchio paese sotto la curva della salita del ponte, fu dedicata a San Pietro o San Primo>. Non si conosce la descrizione della chiesa ma la stessa è menzionata da vari autori: Miani[, Glionna[2], Cisternino[3], i Bozza-Capone[4]. Quest’ultimi scrivono in Le chiese rupestri di Ginosa: <…situata in contrada della Cona presso quella della SS Annunziata, è restaurata da S. Giovanni da Matera qualche anno dopo il 1115>e nella bibliografia: in un Inventarium cit. – <1600…Ecclesiam Santi Petri in contrata della Cona, ed anche…in contrata dell’Annunziata iuxta Ecclesiam Santi Petri>. Storici e accademici come il Panarelli[5], Fonseca[6], Dalena [7], Pecci [8] scrivono su San Giovanni da Matera e i pellegrinaggi nel sud Italia e riportano la fondazione di un monastero rupestre a Ginosa, annesso alla chiesa restaurata di San Pietro. Infine in “Monasticon Italiae”[9]- Puglia e Basilicata – redatto da Lunardi, Houben, Spinelli – per Ginosa sono riportati due monasteri: S. Parasceve e S. Maria de Lamano o Laniano, di cui quest’ultimo, secondo alcuni, vorrebbero identificarlo con quello fondato da S. Giovanni da Matera e trasferito in seguito all’Ordine Teutonico nel 1270.
Mi chiamo Antonella Moscarelli, laureata in B.C. per il Turismo e l’Ambiente con una tesi su “Ginosa in età medievale” e la passione mi ha portata circa due anni fa a visitare la proprietà privata del sig. Scalise, che è posta in via Monte dei Cappuccini sotto il ponte detto dal volgo di S. Leonardo o dell’antica che collega Ginosa a Laterza. Grazie alla disponibilità del proprietario ho scattato diverse foto all’interno e ho cominciato a studiarle e a comprenderne lo sviluppo planimetrico che in seguito ho abbozzato differenziando con colori e legenda i vari ambienti. (Fig.1)
La proprietà, oggi, è semi-ipogea, ossia una parte scavata nella roccia calcarenite (colore marrone vani C, B, in parte D) di cui un ampio vano, caratterizzato dalla presenza di una grande croce al soffitto, e una piccola grotta naturale, non squadrata, collegata ad esso attraverso un passaggio rettilineo.
Mentre la parte costruita con conci di tufo (colore giallo vani A, D, E, F, G, H, I), è suddivisa da diversi ambienti che si affacciano su un terrazzamento. Il complesso architettonico rupestre sembra subìre una prima trasformazione con un ampliamento tra il XVI – XVIII secolo, dato raccolto dopo una prima valutazione di un frammento di intonaco del vano E, il quale tripartito è composto da un corridoio centrale voltato a botte ogiva su cui si affacciano a destra e sinistra aperture di porte e finestre dei vani laterali, un tempo suddivisi e anch’essi voltati a botte. (Fig.2)
Altre trasformazioni interesseranno il sito, ma sicuramente quella più importante e forse la più devastante ed evidente, la subisce intorno al ‘700-’800 con destinazione a trappeto e lavorazione delle olive, come si evidenzia dai numerosi grossi buchi rotondi realizzati sul soffitto calcareo dove venivano avvitati i torchi in legno.
L’aula interessata a questo sconvolgimento è il vano della ex chiesa, che rimanda ad un impianto architettonico ipogeo realizzato non secondo i canoni delle chiese rupestri o cripte che vediamo in genere sugli spalti delle gravine ma come un vero edificio sub-divo, di tipo assiale (est-ovest), con la presenza in volta di una grande croce scolpita a rilievo, rozzamente (Fig.3).
Un esempio simile si riscontra nelle chiesa rupestre del Cristo Giudice a Laterza, anch’essa di proprietà privata (Fig.4). (Fig.3) A sinistra la croce patente scolpita sulla volta della proprietà Scalise a Ginosa. (Fig.4)
A destra la croce patente nella chiesa rupestre del Cristo Giudice a Laterza La grande croce, patente o potenziata e verosimilmente greca, -Fig.3 (spesso adoperata anche dagli ordini religiosi cavallereschi) sovrasta un’aula cultuale di pianta quadrangolare con misure approssimative di mt 7.80x 7.30 x H. mt 3.00 dall’attuale pavimento, ed è orientata est-ovest secondo le tipologie delle chiese medioevali di culto latino e greco. Oggi l’intero ambiente è più grande. L’abside ad est è stata demolita (resta un moncone), probabilmente a seguito della nuova destinazione d’uso. Sulla parete nord/ nord-est, ai lati di un passaggio, vi sono due nicchie con archi trilobati (Fig.5) realizzati su un tratto di parete edificata o ricostruita con conci tufacei (Fig.5). L’arco è ispirato dalle foglie trilobate di alcune piante ed è formato da tre archetti minori, tipico dello stile architettonico orientale (suppongo post rinascimentale). All’interno di una nicchia si rinvengono reperti pittorici che rimandano al tema naturalistico (Fig.6). Sono visibili i colori che variano dall’ocra, ai grigi, al nero di vite, al rosso e al rosa carnicino di un volto di donna, con busto e parti delle braccia. La fanciulla ricopre un primo piano su una cromia spenta e brumosa di un paesaggio, poco visibile per le condizioni precarie del dipinto e, sembra ricoprire il ruolo allegorico di una divinità materna della terra, della fertilità e del conseguente ciclo della vegetazione che muore e rinasce, tutti adempimenti attribuiti a Cerere, divinità romana, o Demetra, divinità greca. Il culto di Demetra e kore (poi Persefone) era molto diffuso in Magna Grecia. Sopra le nicchie campeggia una fascia decorativa dipinta a grottesche entro una cornice colorata, con racemi vegetali, fiori, figure antropomorfe, animali – forme allegoriche che rimandano alla natura.
La colorazione scura o a nero di vite su fondo giallo è una bicromia non sempre utilizzata, rispetto alle colorate e fantasiose grottesche che rientravano nella nuova tendenza artistica a partire dal 1500. Sulla medesima parete, in fondo all’ambiente scavato e in prossimità della posizione dell’abside ad est, è stato tracciato un grande graffite sulla superficie rocciosa (Fig.7). La composizione figurativa mostra evidenti croci devozionali di tipo latina, semplice e potenziate con X chrismon (iniziale greca di Cristo) intorno a una figura, non del tutto compresa. Il disegno inciso ha la forma di un ovale ma tagliato all’estremità superiore da due linee che si intersecano ortogonalmente e che equamente lo dividono. L’asse verticale è maggiore di quello orizzontale, (al suo apice superiore intravedo una M dipinta) e mostra chiaramente una croce latina su cui potrebbe poggiarsi un mantello posto ad arco. Simboli di un capo religioso? Tale composizione è stata, secondo me, magistralmente disegnata con l’aiuto di linee guida (Fig.8), infatti le assi orizzontali delle croci incise a destra e a sinistra sono su una stessa direttrice e attraversano l’ovale che, insieme con quello verticale dividono in quarti la figura intera.
Inoltre , osservando le foto, nella parte sottostante la figura, noto il profilo di una sagoma umana distesa supina sopra una nave. Se ciò corrispondesse al vero, si può collegare questo tipo di simbolismo cristiano e devozionale in ambiente di culto con destinazione funeraria ad un interessante studio sulle navi graffite nel territorio pugliese, scritto dal dott. Giulio Mastrangelo per l’Archeogruppo di Massafra, (che ringrazio). In un suo articolo, tra l’altro, scrive che ”la nave” nell’antichità e in epoca cristiana era il simbolo per raggiungere l’aldilà, come “un vascello di Caronte” ma è soprattutto la salvezza eterna oltre la morte che essa è rappresentata nell’Antico e Nuovo Testamento.
La nave è simbolo della chiesa stessa che viaggia per mare e per terra trasportando uomini, culti e reliquie e attraverso il faro, simbolo di Cristo – luce del mondo, approda al porto – l’anima fa il suo ingresso al cielo”. Altre linee guida fanno supporre la presenza di iscrizioni ma non visibili per lo spesso strato di microrganismi che ha invaso la parete. A sinistra del grafico credo di leggere una S maiuscola e una PE, forse in onciale, il resto è occultato o distrutto. Nelle antiche pratiche funerarie, in connessione con edifici di culto, si privilegiava le aree absidali o in prossimità di essa, luogo di deposizione di personaggi venerati o di rango elevato. Mentre l’allontanamento, segna lo scemare dell’importanza della sepoltura. Altri luoghi privilegiati sono i retrosanctos, poste di solito sul retro dell’abside o nel caso di ipogei mediante lo scavo di cubicoli aggiuntivi. Un’altra particolarità l’ho riscontrata nell’ambiente B (Fig.1 – vano C), una grotta che conserva le caratteristiche naturali di una roccia non lavorata ma di impianto tondeggiante (non squadrata), che è collegata al luogo di culto (vano C) mediante una galleria o cubicolo. Su un masso sporgente (fig.9) e su una parte della parete calcarea (Fig.10) ci sono alcuni segni di zoccatura eseguiti con un piccone dato dal verso piatto. Sul masso sporgente, alcuni segni misurano circa 6 e 7 cm. mentre altri non sono stati rilevati. (Fig.11) – una mia interpretazione = Fig.9).
Dalle foto e sul posto il verso dei segni che appaiono nella fig.9, seppur abbozzati quindi prive di rifiniture, fanno supporre una composizione figurativa di tipo araldica, (nella foto distinguo un profilo di uomo a sinistra, uno scudo a punta alla sua destra e sopra un elmo con cimiero e un probabile cavallo), una simbologia che rimanda alle giostre o ai tornei medievali. Facendo una piccola indagine (necessaria nel periodo di pandemia su internet: pubblicazioni degli archivi di stato sussidi 11 – insegne e simboli araldica pubblica e privata medioevale e moderna – Giacomo Bascapè) sull’araldica leggo che tale simbologia veniva commissionata agli zoccatori per dare valore commemorativo, molto in uso nelle pratiche sepolcrali del tardo medioevo. La scelta del luogo in cui questi segni si trovano è senz’altro privilegiato, ci indica un luogo di culto o un’area ipogea funeraria connessa al luogo di culto. Una cappella funeraria quindi? Diversa, invece è la zoccatura su un altro punto, dove i segni del piccone ma eseguiti obliqui, mostrano un disegno tipo reticolarum. In conclusione pur avendo fatto una descrizione del sito e delle immagini riportate, grazie all’osservazione sulle foto, ad oggi l’indagine è incompleta e lacunosa. Certamente importanti sono state le letture dei vari autori citati ma non sufficienti a confermare il titolo della chiesa, anche per mancanza di affreschi e stravolgimenti vari e le ricerche documentarie e archivistiche si sono fermate per via della pandemia virale. Pertanto è possibile che questa sia la chiesa benedettina di San Pietro, restaurata da San Giovanni da Matera nel XII sec.- con annesso il monastero che alcuni ritengono sia Santa Maria de Lamano? e che per la devozione del santo martirizzato divenne anche luogo di pellegrinaggio e sosta per i pellegrini e in seguito all’abbandono venne trasformata in cripta, per le sepolture privilegiate, quando la cappella, sub-divo, passò all’ordine Teutonico presente a Ginosa nel XIII secolo? Anche il monastero di Santa Parasceve, benedettino, passò all’ordine Teutonico come cripta nel 1270 (da I monasteri di Ginosa – Bozza-Capone). In ogni caso un accurato sopralluogo con cognizioni specialistiche e uno studio approfondito delle fonti storiche e archivistiche potrebbero dare ulteriori dati e risposte.
Bibliografia:
1) Damiano Tuseo, Storia di Ginosa, Taranto 1957, pag 48.
2) G. Glionna Monografia storica-statistica di Ginosa in Il regno delle due Sicilie descritto e illustrato, Napoli 1856.
3) C.Cisternino,op.cit. in A. Miani
4) P.Bozza e M.Capone Le chiese rupestri di Ginosa, 1969 p.127 e I monasteri di Ginosa, da p. 33 a p. 41.
5) F. Panarelli op. cit. in P. Tamburrano, La permanenza di S. Giovanni da Matera in Ginosa, p. 31.
6) C. D. Fonseca, Civiltà rupestre in terra Ionica, 1970 e L’esperienza monastica benedettina e la Puglia, vol.1, p. 230.
7) P. Dalena, Ambiti territoriali, Sistemi viari e strutture del potere nel mezzogiorno medievale, p. 201.
8) A. Pecci, Vita S. Ioannis a Mathera, abbatis pulsanensis congregationis fundatoris: ex perantiquo ms. codice matherano, cavensis monachi cura et studio – Putineani 1938 p.7.
9) Monasticon Italiae III Puglia e Basilicata, p. 60.
Dott.ssa Antonella Moscarelli (2021)
Email: antonella.196m@gmail.com