ORIGINI DELLE NOSTRE GRAVINE
(DELLE GRAVINE DELL’ARCO JONICO)
Unite in un antico ventaglio idrografico, corrono verso il mare le nostre gravine, solchi carsici naturali che caratterizzano il territorio tarantino, al punto che spesso vengono paragonate ai “canyons” americani; talvolta gigantesche ed imponenti ( ad. es. la gravina di Laterza), talaltra molto più piccole, di soli 300/400 mt. di lunghezza, spesso stipate di varia vegetazione. Piccoli o grandi che siano, questi canyons nostrali interessano non solo per lo studio della “Civiltà Rupestre”, ma anche e soprattutto, per i vari settori delle scienze naturali, ecologiche e ambientali, biogeografia inclusa, e ci stupiscono oltre misura per gli incantevoli paesaggi. La loro storia geologica inizia nientemeno che nel Triassico ( da 245 a 195 milioni di anni), in cui esisteva sulla Terra un unico, grande continente denominato Pangea, circondato da un unico, grande oceano denominato Panthalassa. Quando Pangea si frammentò, originò diverse “zolle continentali” che così diventarono come grandi piattaforme galleggianti su questo oceano. In una di queste “zolle” si sarebbe originata l’Italia, ed era situata a latitudini tropicali.
Le rocce delle nostre gravine cominciarono a formarsi dai sedimenti depositatisi in tale ambiente marino, costiero, di acque basse, calme e limpide, del tipo delle attuali barriere coralline delle Bahamas, su cui avveniva lentamente la sedimentazione di rocce carbonatiche. Nei periodi successivi, Giuriassico (196/ 136 milioni di anni ) e prima parte del Cretaceo ( 136/65 milioni di anni), grosso modo continuò la situazione descritta con una sola, rilevante eccezione: i movimenti delle zolle continentali e gli accumuli di sedimenti originarono un deciso abbassamento del bacino marino su cui si andava formando la nostra Puglia.
Proprio in questo periodo si depositarono grandi quantità di sedimenti che si andarono a cementare, dando origine ai calcari del Giuriassico, ma soprattutto a quelli del Cretaceo che affiorano oggi sulle nostre Murge con una profondità di oltre 3000 metri. Ancora successivamente (Cretaceo Superiore, da circa 100 milioni di anni), la zolla africana si scontrava con quella europea, originando Alpi e Appennini, e , quel che più c’interessa, il sollevamento della cosiddetta “piattaforma Appula”, la futura area delle Murge: questa era costituita da una serie di strati di rocce calcaree sulle quali andarono ad agire gli agenti meteorici, originando i numerosi fenomeni carsici, doline, gravi e soprattutto le grotte a grande sviluppo sotterraneo, come quelle di Castellana. Nel Pliocene medio-superiore e per tutto il Pleistocene, la piattaforma Appula, “slittata” ormai a latitudini prossime a quelle attuali, subiva un nuovo fenomeno di ingressione marina: in tale situazione e col massimo approfondimento emergevano dalle Murge solo due isole, una corrispondente all’area nord-occidentale, l’altra all’attuale area sud-orientale.
E fu proprio allora che nelle aree invase dal mare si andarono a depositare i sedimenti che, cementatisi tra loro, dettero origine a due altri tipi di rocce, la calcarenite di Gravina nelle aree costiere e le argille Subappenniniche in quelle di mare aperto, più profondo. La calcarenite di Gravina, il comune “tufo”, rispetto al predetto calcare di Altamura si è formata in ambiente temperato e non più subtropicale, quindi presenta una resistenza molto minore all’azione degli agenti erosivi ,acque meteoriche e di dilavamento superficiale. Tali acque, che per il principio dei vasi comunicanti tendevano con maggior forza a raggiungere il mare, originarono i famosi paleofiumi delle gravine, che si andarono ad inserire in preesistenti fratture del blocco calcareo, causando l’incisione sempre più profonda delle calcareniti, dando origine in tal modo alle gravine e alle lame.
A tutto questo devesi sommare anche l’erosione meccanica, oltre a quella chimica, delle rocce, unita all’azione dei venti e del sole, ed ancora l’azione erosiva “crioclastica” del gelo e del disgelo, e i franamenti per crollo innescati dalla corrosione delle acque che crearono allargamenti trasversali delle stesse : attualmente l’attività erosiva è limitata, in pratica, a sporadici periodi d’intense precipitazioni atmosferiche. All’accattivante aspetto geomorfologico e paesaggistico si affianca quello vegetazionale, faunistico e biogeograficio, oltre che ecologico, perché le nostra Penisola, segnatamente le estreme regioni meridionali, è stata oggetto in passato di flussi di migrazione da oriente a occidente, tanto da presentare un numero di forme e di razze floro-faunisiche maggiore che il rimanente d’Europa e di tutta la zona Paleartica.
La nostra Penisola, infatti, che dalla fine del Cretaceo a tutto il Pleistocene ed oltre andava gradatamente ad emergere dal fondo dei mari terziari, era collegata, specie al meridione, oltre che all’Europa centro-settentrionale addirittura anche all’Asia e all’Africa, giovandosi in larga misura di questi collegamenti per il passaggio e la stanziamento delle flore e delle faune, le più variate. In particolare la Puglia, come evidenziato da diversi Autori, a causa dell’ampio collegamento che ebbe nel Miocene con la grande “placca continentale paleoegeica”, e che l’ha resa ricca di specie e di forme floro-faunistiche a distribuzione egeica, sud- balcanica e orientale, specie per quanto riguarda l’area delle Murge centro-meridionali e delle nostre gravine ( specie transadriatiche e transjoniche).
Se a queste, poi, si aggiungono le eurasiatiche, le pontiche, in uno a quelle più marcatamente europee, ed ancora le appenniniche, le mediterranee, ed altre ancora abbiamo completato un quadro già abbastanza nutrito di biodiversità. Ma l’interesse diviene ancor più vivo quando si prenda atto delle notevoli differenze per le diverse zone nelle gravine, dovute essenzialmente al gioco delle variazioni, anche minime, dei fattori microecologici ed edafici, condizioni queste del terreno che hanno influenza sullo sviluppo d’una grande varietà di piante. Colui che ha la fortuna e il piacere di scendere in una gravina noterà quasi sempre la presenza di tre distinti sistemi ambientali : a) il sistema delle rupi, con innumerevoli cavità carsiche ed ambienti ipogei; b) il sistema della macchia mediterranea disposta sulle pareti meno ripide, ma anche sul fondo di quelle più piccole; c) il sistema delle pozze e dei laghetti sul fondo, forieri di biodiversità, alcuni solo temporanei. E’ infatti estremamente interessante, oltre che stupefacente, assistere alla coesistenza, anche in pochi metri, di ambienti tanto diversi, come greppi rocciosi ed assolati, ma anche rupi umide e stillicidiose (es. al “Passo di Giacobbe” nella gravina di Laterza), boschi, prati aridi, siepi, pantani ed effimeri torrenti, aree a macchia e pietraie, cavità e grotte più o meno umide e ombrose, antichi orti e giardini abbandonati, prati fioriti e ruderi, persino cascate d’acqua ( es. gravina di Riggio).
Ma non è finita qui, perché vista nel suo insieme il fenomeno gravina costituisce anche un unicum bioclimatico, ben diverso da aree del medesimo territorio con pari profilo altimetrico : la conformazione fisica favorisce infatti il prodigioso fenomeno detto dell’ “inversione termica”, consentendo il rifugio a diverse specie che generalmente vivono a quote più elevate (es. il lepidottero Carcharodus boeticus, oppure la rarissima Inachis io nelle gravine più grandi).
Altra “magia” è data dal fatto che le nostre gravine possono fare da “canale di penetrazione” nell’entroterra di specie floristiche ad areale paralitoraneo, che possono così ritrovarsi nel cuore della Murgia, e, cosa ancora più fondamentale, costituire comunque sicuro ostello per “flore e faune altrimenti annientate” (F.Tassi, 2011) o, se vogliamo, ormai scomparse per le eccessive, spesso pesanti manomissioni ambientali dell’uomo contemporaneo.
Potremmo scrivere tanto di più del fenomeno “gravina”, occorrerebbero però interi volumi e intere schiere di specialisti nelle varie branche della conoscenza. Ma chiudiamo qui, significando che questi nostri canyons naturali possono essere ben considerati il più ingegnoso presidio di biodiversità, e quindi il più importante complesso di beni culturali che caratterizzano il territorio pugliese. Ma anche, se volete, come il più prezioso “regalo” che Madre Natura ha fatto a noi conterranei e a tutti coloro che vengono nella nostra bella Terra di Puglia.
Valentino Valentini
Entomologo e scrittore naturalista, direttore del Museo Laboratorio della Fauna Minore del Parco Nazionale del Pollino in San Severino Lucano, presidente del CO.RI.TA.
(Comitato Rimboschimento Taranto) e socio onorario della sezione di Italia Nostra di Taranto.
Autore di “Gemme di Gravina. Per un uomo più naturale e una natura più a misura d’uomo” disponibile sul sito www.lafeltrinelli.it