Romina D’Attoma
Guida turistica
Scendiamo giù per delle scale per visitare la Chiesa Mater Domini e già i nostri sguardi volgono altrove, poiché , dinnanzi a noi, il panorama della Gravina che circonda e cinge la Chiesetta, si mostra prepotentemente in tutta la sua bellezza. Sulla facciata settecentesca, dalle linee semplici ed austere, si aprono due porte di cui una soltanto permette l’accesso al suo interno. Entrando si resta stupiti dalla luce che pervade l’aula unica e quadrata della Chiesa, nonostante ci siano poche aperture e finestre sulla muratura esterna.
A naso in su’, riconosco e mostro ai visitatori i tratti tipici delle nostre architetture e l’opera instancabile ed ingegnosa dell’uomo. Ecco un tipico esempio di “architettura in negativo”, l’uomo che sottrae del materiale e al contempo (come per l’avancorpo del 1700/1800) si interfaccia con la muratura. E’ evidente in questa struttura come le nostre tradizioni ed in nostro sapersi adattare ad un habitat rupestre non venga smentita. Subito a destra, nella zona absidale, scorgiamo un altare in pietra del XVIII secolo con volute laterali nella zona superiore. Esso pare quasi una “quinta scenica” pronta ad inquadrare e a dare risalto alle immagini site posteriormente. Per ora è chiaramente leggibile una rappresentazione della “ Buona Morte” (a destra), le altre immagini sono pronte a venir fuori e ad essere mostrate dato che la calce, erroneamente utilizzata in passato per cancellarne le tracce, ne ha perfettamente preservato la bellezza nel tempo.Si intravede anche rappresentata una “Deesis” ed un cartiglio nella parete al centro che riporta una data: 1764. Le pareti laterali sono invece caratterizzate da piccoli altari di cui uno con decori nella parte alta in finto marmo, di scarsa fattura ma simpatico esempio di come nel Meridione d’Italia nel ‘600/’700 per “risparmiare” sui materiali, la pittura e le finte decorazioni sopperivano al vero marmo, tant’è che è frequente l’imitazione con la resa pittorica in molte Chiese delle nostre zone: della breccia gialla di Siena, dell’onice sultano marrone o del verde serpentino di Prato, evidente anche nel caso della Mater Domini. Ad attirare la nostra attenzione è una stele, una lastra rovesciata recante l’effige di San Nicola, lo riconosciamo dai suoi paramenti ed il suo volto, seppur deturpato, mostra ancora i capelli bianchi del “Vescovo di Myra”. La mano destra del santo è nell’atto di benedire mentre i colori e i tratti somatici riportano a quel modo di dipingere tipico del XVIII secolo, lì dove l’arte d’influenza bizantina, nelle nostre grotte e chiese rupestri, trovò casa ma lascia già intravedere una prima occidentalizzazione di queste immagini evidente soprattutto nella decorazione del trono dove San Nicola è seduto. E’ in questa lastra affrescata, rovesciata con funzione di mangiatoia che sta’ l’eccezionalità, la bellezza di questa costruzione. Un tipico esempio di come nei secoli, soprattutto a partire dal 1500-1700 sino ai giorni nostri , tali ambienti una volta in disuso erano reimpiegati come stalle, cantine, jazzi (ovili) o in questo caso come pollaio.
Usciti dalla Chiesa risaliamo la scalinata lasciando alle nostre spalle uno scenario che fa da cornice ad un gioiello da sempre protetto e cullato dal tempo.
Romina D’Attoma
Guida turistica